

Puntualmente, Il senso della vita spunta tra le indiscrezioni tv. Quest’anno è stato persino menzionato durante la presentazione dei palinsesti Mediaset 2025-2026… ma il programma (o un suo simile), alla fine, sembra non vedere mai la luce. Ripercorriamo la storia del format di Paolo Bonolis e le innovazioni che portò con sé all’epoca, in occasione del ventesimo anniversario
Era il 24 novembre 2005. In prima serata, Canale 5 vinceva la sfida Auditel con uno degli ultimi episodi della seconda stagione di Elisa di Rivombrosa contro Ma chi sei Mandrake?, varietà vip sul mondo della magia con Carlo Conti che dopo il debutto venne bruscamente interrotto. In seconda serata, gli equilibri si ribaltavano, con Bruno Vespa e il suo Porta a Porta a dominare nei confronti di un programma appena nato, alle ore 23:15, che verrà però ricordato da tutti per il carattere di eccezionalità nel palinsesto di una tv commerciale: Il senso della vita di Paolo Bonolis.
Sono trascorsi esattamente vent’anni da quella prima volta. Eppure, in qualche modo, Il senso della vita certamente sopravvive in una dimensione alternativa, nei pensieri di chi ama la tv, dei nostalgici, ma pure degli addetti ai lavori, visto che Pier Silvio Berlusconi all’ultima presentazione palinsesti Mediaset per il 2025-2026 ha detto: “È previsto un progetto sulla scia de Il senso della vita”. Aleggia come il fantasma buono di un caro, che arriva in sogno a ricordarti la sua presenza, per poi svanire. O, per essere più concreti, sembra sempre spuntare quando sia necessario ingolosire Bonolis, solleticandone la parte che ha ambizioni artistiche, di legittimazione culturale e prestigio.
Cos’era Il senso della vita? Più di un semplice programma di interviste con ospiti vip e di riflessioni (filosofiche e non) sulla società. Si inseriva in un contesto e in un canale in cui i generi predominanti erano l’intrattenimento e il reality. Non che oggi sia cambiato qualcosa. Un format da Rai3 (o da Rai1) che scombinava le logiche della tv commerciale. Ritmi dilatati contro il dinamismo e la frenesia, le riflessioni sulla vita contro la ricerca di ciò che fa discutere (anche quando trash) e attira ascolti. Un ibrido audace tra il late-night show di stampo statunitense e l’approfondimento esistenzialista.
Il seme all’Ariston
I primi filmati in stile Il senso della vita passarono nel 2003 da Ciao Darwin e Domenica In, ma il vero seme fu gettato da Paolo Bonolis sul palco dell’Ariston con Sanremo 2005, il 55° Festival della canzone italiana. Il più grande evento mediatico del Paese servì da laboratorio-lancio, o per restare in ambito televisivo, da puntata pilota, da numero zero. Così facendo, furbescamente, milioni di italiani avrebbero ricordato il jingle introduttivo con la goccia che cade nel mare, risuona, riverbera, insieme a una colonna sonora leggera che già richiamava nella composizione musicale qualcosa in grado di scuotere le coscienze ed emozionare.
Nel 2005, Bonolis inserì nel Festival anche due lunghe interviste che si possono definire precursori de Il senso della vita: l’intervista a Mike Tyson, svolta non con approccio da giornalista sportivo, ma da indagatore dell’animo umano, sui temi della redenzione e dei giorni in prigione; l’incontro con Will Smith che, per andare oltre la promozione cinematografica del film Hitch, si trasformò in una riflessione sulla speranza.
La creazione
Dopo i vari test e il laboratorio dell’Ariston arrivò l’effettiva creazione del programma su Canale 5, ad opera dello stesso Bonolis e degli storici collaboratori Michele Afferrante e Filippo Mauceri che riuscirono a codificare il flusso di coscienza a volte caotico del conduttore in una struttura televisiva rigida ma permeabile all’improvvisazione.
La prima edizione del 2005-06 fu quella della scoperta, la seconda del 2006-07 quella del consolidamento, la terza del 2008 quella della maturità. Poi, una pausa fino al 2011, quando Il senso della vita, promosso in prima serata, mantenne un’estetica sobria in un’arena dei grandi eventi, con un’ampia orchestra ad aprire le puntate suonando Bitter sweet Symphony di The Verve.
Formula di un cult
La struttura de Il senso della vita, come definito dallo stesso Bonolis, era “un open space televisivo senza trama”, affermazione che venne usata dai detrattori del talk show. La trama invece c’era, eccome. In realtà, si trattava di una semplice scelta stilistica: il rifiuto della narrazione lineare a favore di un approccio frammentario, specchio della complessità dell’esistenza.
L’elemento più iconico del format è la “foto-intervista”. L’ospite, seduto su una poltrona minimalista, viene confrontato con una serie di immagini proiettate su un grande schermo. Le immagini non seguono necessariamente un ordine cronologico. Possono essere astratte, storiche o profondamente personali. Un meccanismo che disorienta l’ospite, costringendolo ad abbandonare un eventuale “copione” per reagire emotivamente allo stimolo visivo. Le stesse foto danno modo a Bonolis di innescare le domande esistenziali da rivolgere all’ospite, per giungere a quella finale: “Qual è il senso della vita?”.
Un altro segmento fisso era rappresentato dalle classifiche, con dieci o cinque motivi riferibili a un’azione in particolare, ad esempio cinque buoni motivi per cantare. Utili ad analizzare le piccole manie e le ipocrisie del quotidiano, esercitare la vena satirica di Bonolis sulla società italiana, attirare il pubblico popolare. L’immancabile Luca Laurenti si trasformava da “oggetto comico” ad “autore pensante”, tra dialoghi surreali e performance pianoforte e voce.
Tante le interviste significative realizzate nelle varie edizioni. Vanno sicuramente citate quella a Gianfranco Funari, in una delle sue ultime apparizioni, in cui ebbe modo di riflettere sulla sua carriera e sulla sua imminente fine con una lucidità disarmante, poi quella più eclatante a Stanley “Tookie” Williams, co-fondatore della gang dei Crips, allora nel braccio della morte del carcere di San Quintino, raggiunto al telefono per un dibattito sulla pena capitale.
Il senso della vita è l’espressione più pura della dicotomia professionale di Paolo Bonolis. Da un lato, il conduttore che ha portato il cinismo romano e il disincanto sull’ammiraglia Mediaset; dall’altro, è l’intellettuale frustrato che cerca disperatamente di elevare il mezzo televisivo, usandolo per interrogarsi sui massimi sistemi.
Le prospettive future
Se tornerà con certezza Il senso della vita, ancora non lo sappiamo. Di certo non dovrà ripetersi l’errore del 2011, quando il talk arrivò in una fascia oraria inadeguata per Canale 5. La seconda serata è un terreno ormai sempre più eroso, ma resta quello fertile e ideale per far sviluppare un nuovo Senso della vita. La rete, dopo l’addio di Maurizio Costanzo, non ha trovato ancora degni sostituti per la notte, affidandosi al Tg5 o a repliche, anche per via della prima serata che termina sempre più tardi dopo l’access extralarge.
Il ritorno di Bonolis al talk d’autore si inserirebbe perfettamente nella “nuova linea editoriale” di Pier Silvio Berlusconi, volta a ripulire la rete dagli eccessi del “trash” e a puntare su un intrattenimento più sobrio e giornalistico. In questo scacchiere, Il senso della vita diventerebbe il fiore all’occhiello, il programma che permetterebbe a Canale 5 di competere in prestigio con Rai 1 e con Che Tempo Che Fa di Fabio Fazio.
In un’epoca dominata dalla frammentazione digitale e dalla superficialità dei social media, la sopravvivenza di uno spazio dedicato al racconto lento, alla parola ponderata e all’ascolto dell’altro testimonia che, forse, la domanda sul “senso della vita” rimane l’unica vera trama che il pubblico non si stanca mai di seguire.






